Quest’estate io e la mia compagna siamo andati nei paesi baltici ma, invece di fare il solito giro delle tre capitali, abbiamo deciso di dedicarci più approfonditamente ad una sola delle tre repubbliche – l’Estonia – per cui, dopo aver visitato Tallin e le coste del Golfo di Finlandia, ci siamo inoltrati nella zona russofona, lungo le coste del lago Peipsi. Lì eravamo del tutto fuori dalle rotte del turismo “occidentale”, per usare un eufemismo: in una settimana non abbiamo incontrato, oltre agli abitanti locali, altro che turisti provenienti dalla confinante Russia.
Il primo impatto con un clima da guerra fredda l’abbiamo avuto proprio all’inizio del nostro percorso, a Narva, la città che prende il nome dal grande fiume che alimenta il Peipsi, il quarto lago d’Europa. La città, prima della separazione dell’Estonia, si sviluppava su entrambe le rive del fiume: al momento dell’autonomia estone si è trovata divisa in due – una sorta di semisconosciuta Berlino est/ovest del baltico, con tutte le conseguenze del caso: oltre al fiume stesso, un apparato militare di separazione e controllo di frontiera a dir poco imponente divideva le due rive del fiume ed i rispettivi quartieri.
In ogni caso, il 99% della popolazione della città era russofona, così come il resto delle cittadine che poi si sviluppavano lungo la zona estone del lago. L’inglese era a dir poco merce rara, persino nelle zone studentesche e/o maggiormente turistiche: era evidente che per loro la lingua russa era un meccanismo identitario fortissimo. “Qui siete in Russia e noi siamo russi” – ci ha detto una delle poche persone che masticavano un po’ di inglese: gentilissima, un po’ come tutti coloro che abbiamo incontrato e che mostravano una istintiva simpatia per quei due strani italiani che avevano deciso di venirli a trovare, invece di fermarsi solo a Tallin. L’estraneità verso lo stato estone, prodotto della fine dell’Unione Sovietica, si percepiva chiaramente.
Dopo la caduta del muro di Berlino, per qualche tempo si è parlato di un mondo “monopolare”, vista la netta supremazia statunitense, sia politico-ideologica, sia economica, sia militare: per lungo tempo gli Stati Uniti d’America hanno approfittato a lungo di questa supremazia, dando vita a politiche belliche tese a creare protettorati americani un po’ ovunque, prestando una praticamente nulla attenzione ai sentimenti delle popolazioni cui andavano “a portare la democrazia”.
Un fenomeno come quello del consenso popolare a Putin ed alla sua politica, lo si capisce in quest’ottica – la Russia, per quanto umiliata, resta sempre la seconda potenza nucleare al mondo: un osso duro da minacciare anche per l’intera NATO. Per cui quando nel 2008 la Georgia, credendosi le spalle coperte dal grande amico americano, tentò di occupare l’Ossezia del Sud, la decisa reazione russa mette allo scoperto la debolezza intrinseca della politica di potenza monopolare statunitense e, allo stesso tempo, costruisce la fortuna politica di Putin in patria come restauratore dell’antica potenza russa e, fuori dai confini russi, lo fa diventare un polo d’attrazione per le spinte separatistiche delle popolazioni russofone (come ad esempio in Estonia). Da allora lo stato russo ha sempre più accentuato quest’aspetto della sua politica inaugurato con la crisi ossena fino a giungere, nel 2014, alla riacquisizione (ufficiale e non ufficiale) di larghe parti dell’Ucraina russofona.
In effetti, la storia Ucraina ha molte affinità con la storia ossena: anche qui un paese (l’Unione Europea) che credeva di avere le spalle coperte dagli Stati Uniti d’America si è largamente scottata le dita ed ha dovuto rendersi conto che è difficile trattare la superpotenza nucleare russa negli stessi termini del periodo post-crollo dell’Unione Sovietica.
La situazione mediorientale legata alla crisi siriana, poi, ha visto il confronto diretto tra i due grandi ex attori principali della “Guerra Fredda”, con la palese sconfitta degli Stati Uniti d’America che ha dovuto assistere impotente prima al salvataggio dell’arcinemico Assad, poi alla perdita di fatto del più importante paese NATO della regione, con il trascinamento della Turchia di Erdogan nell’orbita dell’influenza dello stato russo, con il conseguente rischio della possibilità di realizzazione di un gasdotto che giungerebbe nel Mediterraneo senza passare per i paesi NATO.
A questo punto, dopo le riviste specializzate di geopolitica che lo stavano facendo da parecchio tempo, anche i grandi mezzi di comunicazione di massa hanno cominciato a parlare di una sorta di nuova “Guerra Fredda”. In effetti, gli Stati Uniti d’America hanno, da un lato, la necessità di rispondere a questa che è la prima vera grande sfida al suo potere monopolare, dall’altro, non sanno bene come fare: per quanto possano essere animati da sentimenti antirussi, né le parti non russofone dei paesi dell’est europa né tantomeno i paesi arabi apprezzerebbero una politica che rischia di portare nuovamente il mondo verso uno scontro diretto tra le due superpotenze nucleari – tanto più se i primi colpi venissero, come appare probabile, sparati dalle loro parti… D’altronde, il governo russo sa bene che la sua potenza nucleare è ciò che le permette di potersi muovere senza grossi timori: non è casuale, da questo punto di vista, che la rottura tra i due paesi si sia evidenziata proprio con la rottura delle cooperazione internazionale legata alla distruzione delle armi al plutonio – una rottura voluta pare proprio dal governo russo e, se le cose stanno così, non stentiamo a crederlo.
Il mondo che torna indietro, dopo le illusioni della “fine della storia”? Si, ma molto più di quel che sembra.
Qualche giorno fa ascoltavo in radio un dibattito parlamentare italiano sulla questione e mi ha molto colpito il fatto che almeno due parlamentari nei loro interventi avessero fatto lo stesso lapsus: parlavano di “espansionismo sovietico” invece di “espansionismo russo”, quando, come è noto, l’Unione Sovietica non esiste più da un pezzo – ammesso poi e non concesso che sia mai esistita nel senso letterale del termine e non sia stata solo una gigantesca presa per i fondelli delle speranze rivoluzionarie del proletariato internazionale.
I parlamentari in questione, evidentemente, avevano inconsciamente letto il contesto attuale alla luce di quello passato e di lì lo strafalcione. La situazione attuale non assomiglia, però, affatto a quella passata: basti far notare che i due contendenti non hanno ideologie politiche e sociali da contrapporre, essendo entrambi campioni del pensiero unico neoliberista. Nel passato, un minimo di differenza poteva intravedersi: i paesi dell’Est legati ad una politica che accentrava tutti i mezzi di produzione nelle mani del governo, i paesi dell’altro blocco caratterizzati da una politica che li lasciava fondamentalmente nelle mani dei privati; i paesi dell’Est che erano delle dittature nel senso stretto della parola, (alcuni) paesi del blocco NATO democratici e con lo sviluppo di un certo numero di libertà civili, politiche e sindacali. Nulla di sostanziale, si trattava in entrambi i casi di varianti di società statali e capitalistiche che opprimevano entrambe le classi lavoratrici, ma sussisteva quel minimo di differenza che ha permesso allo storico inglese Hobsbawm di parlare di un “secolo breve” caratterizzato, dal 1917 al 1991 ca, dall’essere (anche) il teatro di uno scontro ideologico onnipresente. Oggi, niente di tutto ciò: anche dal punto di vista delle libertà civili, oggi la Russia di Putin – ed è tutto dire – almeno formalmente offre più diritti civili, politici e sindacali, per esempio, di una Francia che da più di un anno è in uno stato di eccezione permanente e che tali diritti ha in larga parte sospesi o messi sotto stretta tutela.
In effetti, prima del “secolo breve”, gli scontri di potere internazionali esistevano eccome. L’aspetto ideologico che ha caratterizzato il grosso del Novecento, dal punto di vista storico, non è stata molto più che una particolarità contingente, oramai esauritasi. Con buona pace dei filoputiniani di stampo marxista leninista che circolano nelle piazze e, soprattutto, nella rete, la Russia di oggi è un paese liberal-liberista come tutti gli altri. Assistiamo, certo, ad un ritorno del passato: ma è un passato pre 1917.
Come che sia, in ogni caso, ancora una volta il potere politico dell’uomo sull’uomo si mostra la maggiore minaccia per la stessa sopravvivenza del genere umano.
Enrico Voccia